Il voto siciliano ha indubbiamente una valenza amministrativa e risente della complessa realtà di quel particolare territorio di cui sarebbe sbagliato non tenere di conto. Ma non si può non coglierne gli aspetti più propriamente politici, sia per le dimensioni del bacino elettorale coinvolto, sia per i progetti e i programmi che si sono confrontati.
Non c’è bisogno di addentrarci in approfondite analisi dei flussi elettorali, oltretutto a scrutini ancora caldi, per cogliere due aspetti significativi dei risultati elettorali relativi all’area politica che maggiormente mi interessa.
1) – Il treno renziano ha finito la sua corsa su un binario morto. L’alleanza con l’ex “Nuovo Centrodestra”, oltretutto nella terra dove Alfano ha storicamente consensi maggiori, si è rivelata un suicidio politico. Il progetto politico di Renzi è morto nella culla, la sua leadership è ormai in caduta libera e il PD, senza più identità e radicamento territoriale, non ha più le risorse per fermare il suo declino.
Recitando il copione di un film visto fino alla noia negli ultimi anni, la classe politica del PD ha perso ogni capacità di riflettere sulle sconfitte e ha già iniziato ad attribuire le colpe ai soliti gufi e rosiconi. Se, come probabilmente accadrà anche questa volta, l’opposizione interna si limiterà a recitare la solita stanca litania di una critica senza conseguenze, il destino di quello che è stato il più grande partito del centrosinistra europeo, è segnato.
2) La lista di sinistra, alla sua prima prova elettorale, non ha sfondato. Fava è stato bravissimo e l’impegno di tutti i dirigenti nazionali è stato generoso, ma se l’obbiettivo era quello di recuperare i voti degli elettori di sinistra finiti nell’astensione e nel voto di protesta, non è stato minimamente centrato.
Ridare fiducia e speranza ai delusi e agli incazzati è un compito difficile e impegnativo che richiede determinazione, costanza e, soprattutto, tempo. E’ chiaro che non basteranno due bandiere rosse, qualche operazione di marketing azzeccata o candidati bravi e onesti; è necessario ripartire dalla cultura della sinistra storica e dal rilancio dei nostri valori e ideali, magari con parole nuove e meno retoriche.
E’ necessario mettere a fuoco i confini del conflitto sociale, mai così violento dal dopoguerra ad oggi, e riscoprire l’orgoglio di stare dalla parte dei più deboli.
Dobbiamo anche avere un’ambizione più grande rispetto ad un misero cartello elettorale tra le sigle dell’arcipelago della sinistra in vista delle prossime politiche, perché questo obbiettivo rischia di pregiudicare quello più importante della costruzione di un vero grande soggetto politico di cui il Paese ha bisogno.
A chi dice che ormai è troppo tardi, ricordo un vecchio proverbio africano, dell’area subsahariana, dove le piante, a causa delle condizioni climatiche, impiegano moltissimi anni per dare i primi frutti: “Il miglior momento per piantare l’albero era venti anni fa. Se non l’hai fatto, il miglior momento è ora”.
Seppur in colpevole ritardo, domani (la coincidenza con l’anniversario della presa del Palazzo d’Inverno è casuale ma augurale), inizia il percorso partecipativo promosso da Articolo Uno – MDP per la costituzione formale della nuova casa della sinistra italiana. E’ un progetto per il quale vale la pena rimboccarsi le maniche e lavorare insieme, senza se e senza ma.